Frammenti del testo preparato per le conferenze tenute presso la parrocchia del Natale del Signore, in Torino.
Abbiamo iniziato il nostro cammino verso i "Vangeli dell'infanzia" evocando l'immagine del bambinello posto su una mangiatoia tra l'asino e il bue del presepe di Greccio, prototipo di ogni altro presepe ...e abbiamo detto, in quell'occasione, che l'asino e il bue, accanto al divino infante, sono altamente simbolici, ma per nulla "canonici" […] Derivano da un apocrifo, il cosiddetto Vangelo dello Pseudo-Matteo, scritto addirittura nell'VIII-IX secolo d. C., quindi in pieno Alto Medioevo.
La cosa non ci deve stupire. La produzione immaginifica relativa alla nascita, all'infanzia di Gesú e persino alla preistoria mariana di tale evento, supera in esuberanza la stessa produzione evangelica canonica e dura molto a lungo, superando anche i limiti del primo millennio. Questo non solo nel quadro della pietà popolare, ma persino ad opera di figure di tutto rilievo della vita spirituale monastica maschile e femminile, piú o meno favorita o tollerata dalla Chiesa. Il che […] ci aiuta a capire che da sempre tutte le narrazioni sulla nascita e sull'infanzia di Gesú ricevono alimento, non tanto dalla ricerca della storicità dei fatti relativi all'evento, ma dal bisogno di indicare a tutti noi, in modo figurato, i valori e le verità teologiche nell'evento racchiuse, qualche volta, andando anche oltre i limiti rigorosi, posti, a tali esigenze immaginifiche del fervore spirituale soggettivo o di massa, dagli stessi testi canonici, cui pure è per teologi e pastori rigoroso dovere attenersi, riconducendo ad essi la nostra attenzione e la nostra fede.
Gesú il Nazareno è nato a Nazaret o a Betlemme? È venuto al mondo il 4 a. C., come farebbe pensare Matteo, collocandone il dies natalis sotto il regno di Erode il Grande? Oppure è nato il 6 d. C., come propone Luca, facendo risalire il lieto evento durante il censimento, «fatto quando governatore della Siria era Quirino» (Lc 2, 2)? Capisco che cosí posta la domanda può apparire provocatoria, perché sappiamo che la data della nascita di Gesú su cui si basa il nostro calendario, fissata nel IV secolo con calcoli approssimativi e sbagliati, […] non può essere accettata se non con largo margine di errore. Ma resta il fatto che le date scelte dai due evangelisti si differenziano di ben 10 anni, e che il contesto e lo sviluppo dei due racconti, da questo punto di vista sono in chiara contraddizione tra loro e nessuna mediazione può essere tentata, come nota anche il teologo Mauro Pedrazzoli, precisando, che cosí è: «Se si leggono i testi come resoconti storici» e non come narrazioni teologico-simboliche ("Il foglio" n. 357).
Infatti, se ha ragione Matteo, Giuseppe e Maria abitavano a Betlemme, Gesú è venuto al mondo nella piccola patria di Davide, come annunciato dalle Scritture, nella casa del padre legittimo, detto anche "putativo", mentre era vivo e regnante a Gerusalemme Erode il grande, gelosissimo del suo potere e terrorizzato dalla piú remota ipotesi dell'affacciarsi all'orizzonte della storia di un potenziale rivale, fino al punto da sterminare la sua stessa famiglia, prima ancora degli "Innocenti" di Betlemme. Se invece ha ragione Luca, che Erode nomina di passaggio e dell'orrenda strage non fa menzione, ma spiega la nascita del Nazareno a Betlemme come conseguenza degli obblighi di registrazione per un censimento, collocabile solo dieci anni dopo la morte del terribile tiranno, Giuseppe e Maria abitavano da tempo a Nazaret e lí sono tornati subito dopo la nascita di Gesú, avvenuta in un qualche rifugio nei pressi di Betlemme, senza aver passato un giorno solo nel lontano Egitto, come vorrebbe Matteo, e senza aver ricevuto la visita di nessun mago d'oriente.
Che Gesú fosse chiamato "il Nazareno" ce lo dicono tutti i vangeli e tutti, salvo i primi due capitoli di Matteo e di Luca, danno per scontato che quello fosse il luogo della sua nascita e non solo della residenza dei suoi. Ma quasi tutti i testi evangelici ribadiscono la sua discendenza davidica […]. Di qui il processo deduttivo teologico che genera la collocazione narrativa, storicamente inattendibile, della nascita di Gesú a Betlemme: «Gesú è il Messia, il Messia è figlio di Davide; quindi: Gesú, il Messia, è nato a Betlemme, la città di Davide».
Matteo, che piú di Luca valorizza questo motivo teologico, tanto da impostare intorno ad esso il cuore narrativo del suo racconto, facendo di Giuseppe, appartenente alla tribú davidica di Giuda, l'eroe dell'intera vicenda, trova il modo di farlo anche esplicitamente riconoscere ai sacerdoti e agli scribi di Gerusalemme con una precisa citazione della scrittura: «E tu Betlemme non sei davvero l'ultima delle città di Giuda,: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo Israele» (Michea 5, 1; Mt 2, 6).
Ma Matteo non si accontenta di citare Michea come testimone scritturistico della veridicità del suo narrare […]. Matteo, sottolinea tutto ciò, iniziando con una ben dettagliata genealogia, su cui dovremo tornare, e inserisce ben cinque rimandi biblici espliciti, anche se non sempre precisi, oltre che altri indiretti, per chiarire che questo Messia è: Figlio in modo speciale di Dio, in quanto nato da una vergine (Mt 1, 23, dove cita Isaia 7, 14); erede della missione salvifica di Mosè e cosí via […].
Solo attraverso continui rimandi alle profezie o a figure salvifiche dell'Antico Testamento può essere capito lo sviluppo narrativo del vangelo dell'infanzia di Matteo, la ragione dell'introduzione nel secondo capitolo del suo racconto di figure come Erode, gli scribi di Gerusalemme, i magi, la stella, la strage, la fuga e il ritorno dall'Egitto. La loro presenza è in funzione non della storia cronachistica dell'evento narrato, ma dell'illustrazione della sua verità teologica, del suo messaggio salvifico. Ci dicono che con Gesú è nato il salvatore di tutto l'universo, che per lui si muovono le stelle e i cieli, accorrono i sapienti da ogni luogo della terra e da ogni popolo, per lui vengono doni simbolici che rappresentano la sua regalità (oro), divinità (incenso), morte tragica (mirra).
Come abbiamo potuto vedere, anche dalle citazioni tratte da passi evangelici diversi da quelli dell'infanzia, Giuseppe, come sposo di Maria, madre di Gesú e capofamiglia di una prole numerosa, è documentariamente ben attestato. Non è però per questo che Matteo lo preferisce a Maria, anche per lui vergine all'atto del concepimento di Gesú, come protagonista dei primi due capitoli del suo vangelo. Giuseppe è scelto perché come giudeo può essere collocato nella discendenza davidica, legittimare biblicamente la messianicità di Gesú, essere collegato a Betlemme, città profeticamente segnalata e, dulcis in fundo, portatore di un nome che lo collega ad un figlio di Giacobbe, essenziale per la salvezza della sua famiglia, iniziatore dell'avventura mosaica d'Egitto e, per di piú grande interprete di sogni e campione di continenza virtuosa, se non di programmatica verginità, come mostra il famoso episodio della resistenza alla seduzione della moglie di Putifarre (Gn. 39, 7-29).
Ce n'è quanto basta per farne un personaggio interessante, che bene si presta alla produzione di un midrash o racconto teologico edificante, essendo, come molti personaggi biblici frutto di midrash famosi (Giobbe, Daniele, Giona), ben conosciuti alla tradizione, nel nostro caso ancor solo orale, ma del tutto privi di una propria storia
Ecco allora che di Giuseppe Matteo, non solo ci dà una bella genealogia, che attraverso tre blocchi di 14 generazioni ciascuno risale, dallo "sposo di Maria" a Zorobabele, figura eminente post-esilica, quindi da Giosia a Davide, poi da quest'ultimo ad Abramo (1, 1-11); ma ci dice anche che, essendo "un uomo giusto", saputo che la promessa sposa Maria era rimasta incinta, «prima che andassero a vivere insieme, […] decise di licenziarla in silenzio» (1, 18-19). E, subito aggiunge che lo pensò, ma non lo fece, perché: «Gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesú (JHWH salva). Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: "Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio. che sarà chiamato l'Emmanuele", che significa Dio con noi». Al che egli puntualmente obbedí e Gesú nacque da Maria, «senza che egli la conoscesse», sessualmente s'intende (1, 20-25). Il resto già lo sappiamo
Dal che possiamo ricavare alcune "verità" narrative e teologiche comuni ai vangeli dell'infanzia di Matteo e di Luca ... Tali verità, presto diventate patrimonio comune della fede evangelica delle Chiese del II sec., sono: Maria, promessa sposa di Giuseppe, resta incinta ad opera dello Spirito Santo e partorisce Gesú, vergine da ogni precedente incontro con Giuseppe o con qualsiasi altro uomo; Gesú, di stirpe davidica, come figlio legale di Giuseppe è nato a Betlemme.
Viene, invece presto trascurato il fatto che, secondo i testi evangelici dell'infanzia e no, Giuseppe è vero sposo di Maria, in senso non solo formale o giuridico, ma sostanziale, e che, quando l'angelo dice a Giuseppe: «Non temere a prendere con te Maria tua sposa», queste parole non solo mirano a convincere Giuseppe a non mettere nei guai Maria, ma confermano la validità sponsale del matrimonio stesso e lo invitano a trarne tutto il frutto spirituale e umano, anche affettivo, fisico e genitoriale che tale legame comporta fin dalla creazione: «Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Genesi 2, 24 e Matteo 19, 5).
Ognuno di noi può constatare che i nostri due vangeli dell'infanzia contengono ciascuno una "Genealogia di Gesú", collocate in posizioni opposte e assai divergenti tra loro
Non possiamo approfondire tutti i problemi posti da queste genealogie, ma possiamo chiederci che ruolo ha in Matteo il ricordo, in un elenco insistito di padri, di alcune donne […] tanto piú che si tratta sempre di donne non israelite, che hanno strappato a fatica, con qualche grave azzardo morale, il privilegio di appartenere alla generazione del Messia davidico. Almeno due devono praticare la prostituzione, una diventa sposa di re in seguito all'omicidio del marito, una ancora si offre di sua iniziativa nei campi al futuro sposo. Maria, poi, resterà incinta ad opera dello Spirito prima di abitare dal promesso sposo e rischia il ripudio
Per spiegare questa anomala presenza in una genealogia tutta formalmente e legalmente maschile, gli esegeti hanno proposto soluzioni teologiche diverse...(R. P. Brown, La nascita del Messia, Assisi 2002, p. 78- 84). Personalmente penso che tutte queste diverse ragioni (perdono dei peccati, universalismo messianico, imprevedibilità del''agire divino e umana) siano contemporaneamente presenti nella decisione di Matteo di ricordare, tra tanti uomini, queste donne. Ma ritengo anche che qui ci sia qualcosa di piú. Ci sia l'indicazione di un legame diretto, quasi creativo, tra Dio e la donna, come vera radice e matrice di umanità e di concreta carnalità, ogni volta in cui si segnala un intervento storico di Dio straordinario a favore dell'umanità e dell'intero creato. Come a dirci che la donna, quasi piú dell'uomo, o almeno quanto l'uomo (visto che a Giuseppe è chiesto, a suo modo, il consenso e una collaborazione al piano divino analogo a quello chiesto a Maria) è con Dio coautrice della salvezza da Lui promessa e kenoticamente realizzata nell'evento dell'Incarnazione, passione, morte e resurrezione del Cristo. Il che dovrebbe ampiamente compensare i mariologi del ridimensionamento che, in quest'ottica, subisce il dogma della perpetua verginità fisica di Maria, prima, durante e dopo il parto. Mentre non tocca in nulla gli altri dogmi mariani. su cui nessun esegeta ha possibilità di aprire bocca, esulando del tutto da qualsivoglia testimonianza vetero e neo testamentaria.
Aldo Bodrato, febbraio 2009
(Il testo completo dell'articolo si può trovare nei numeri estivi di "Tempi di Fraternità")
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