Caro direttore,
Leggo sulle pagine culturali del vostro quotidiano del 20 c. m. una bella esortazione di monsignor Gianfranco Ravasi a non svuotare dall'interno la nostra cultura, privandola dei simboli cristiani, che tanti valori di umanità, di libertà e di amore portano con sé.
Come ex-insegnante di filosofia e sostenitore dell'esperienza di rinnovamento conciliare della Chiesa, fin dagli anni del cardinal Michele Pellegrino, non posso che condividere.
Mi commuove la citazione, tratta da "Il segreto di Luca" di Ignazio Silone, in cui l'ergastolano innocente silenziosamente dialoga col crocefisso, appeso alle spalle del giudice. Ma anche penso ai tanti crocefissi, innalzati di fronte ai roghi ereticali, per legittimarne l'esercizio come giustizia religiosa e secolare insieme.
Soprattutto, però, mi interrogo su chi stia svuotando di senso dall'interno le radici umane e cristiane della nostra società, su chi finisca col mettere a tacere l'intero arco del messaggio biblico. Mi chiedo se a farci dimenticare il vangelo siano i laicisti che combattono, a suon di slogan corrivi, i segni residui della presenza cristiana nella società, o i rappresentanti della Chiesa stessa, che di tutto si occupano, fuorché di rendere culturalmente ed esistenzialmente vitale l'annuncio di fede.
Non passa giorno che non si facciano avanti per dire la loro su moschee e minareti, su costumi sessuali e leggi statali relative a famiglia e convivenze, su scelte economiche e di pubblica viabilità, definiscono ciò che è medicalmente lecito e illecito, sanno tutto sul diritto naturale e sulle leggi, intelligenti o meno, dell'evoluzione, sui limiti e le prospettive della ricerca scientifica.
Come liberi cittadini è giusto che lo facciano. Ma perché non parlano come vescovi, teologi e pastori della Chiesa sui problemi della fede? Perché, salvo occasioni di circostanza, non si sente piú una loro approfondita riflessione sull'annuncio evangelico del perdono e della misericordia di Dio, sulla attesa della resurrezione, sulla speranza di ogni vivente di essere accolto da Dio e dai fratelli trapassati nel momento tragico della morte, sulle beatitudini, sulla condanna di ogni violenza fisica, economica e morale?
Come studioso di teologica capisco che aggiornare l'antico bagaglio della dottrina cristiana esige una radicalità e una profondità di ripensamento e di rinnovamento che fanno tremare le vene e i polsi. Ma, vista la fame e la sete della Parola di Dio dei nostri contemporanei, giovani soprattutto, se non lo si fa con coraggio, l'insostituibile ricchezza di senso della fede biblica è destinata ad andare perduta, restino o non restino i simboli cristiani sulle pareti delle scuole e dei tribunali e, magari, persino nei proclami cartacei di questa o quella forza politica o costituzione nazionale o sovranazionale.
Aldo Bodrato (21 gennaio 2009)
Lettera pubblicata sulle pagine torinesi di la Repubblica, 25 gennaio 2009
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